ABITARE IL PIANETA TERRA
“Se volete credermi , bene. Ora dirò come è fatta Ottavia, città-ragnatela. C’è un precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata a due creste con funi e catene e passerelle. Si cammina sulle traversine di legno, attenti a non mettere il piede negli intervalli, o ci si aggrappa alle maglie di canapa. Sotto non c’è niente per centinaia e centinaia di metri : qualche nuvola scorre; s’intravede più in basso il fondo del burrone.Questa è la base della città: una rete che serve da passaggio e da sostegno. Tutto il resto invece d’elevarsi sopra , sta appeso sotto: scale di corda, amache, case fatte a sacco, attaccapanni, terrazzi come navicelle, otri d’acqua, becchi del gas, girarrosti, cesti appesi a spaghi, montacarichi, docce, trapezi e anelli per giochi, teleferiche, lampadari, vasi con piante dal fogliame pendulo.Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge.
Ecco, oggi siamo arrivati esattamente a questo punto, sappiamo che la rete più di tanto non regge, sappiamo che il prelievo umano di risorse dall’ambiente ha superato la naturale capacità di carico dell’ecosistema Terra. E allora abbiamo davanti a noi lo stesso percorso affrontato dagli abitanti di Ottavia, questa città immaginaria, descritta da Calvino, trovare un nuovo modello di sviluppo che permetta la vita a noi e ai nostri figli.
Il punto è proprio la consapevolezza rispetto al dato di realtà, perché solo a partire da questo si possono impostare sostenibili politiche di sviluppo.
- Sappiamo che l'accumulo di gas serra nell'atmosfera sta producendo un aumento della temperatura globale, con effetti sul livello del mare, sulla frequenze di siccità e alluvioni, su agricoltura e biodiversità e quindi sui diversi settori socio-economici.
- Sappiamo che l’aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera è causata dalle emissioni dovute all’uso di combustibili fossili e dal contemporaneo processo di deforestazione in atto
- Sappiamo che l’ammontare di acqua potabile pro capite nel 2050 scenderà del 73% rispetto alla quantità che era disponibile nel 1950. E ciò significa che un miliardo e 300 milioni di persone saranno prive di acqua potabile.
- Tristemente sappiamo quali sono i problemi legati alla continua produzione di rifiuti che il nostro modello improntato sul consumo ci impone
- sappiamo che alcuni temi quali ad esempio l’acqua, l’energia, le produzioni agricole, necessitano di valutazioni alla scala globale perché su questi elementi si esercitano le maggiori tensioni a livello sociale, economico, con il rischio sempre più attuale che si trasformino in motivo di conflitto tra i popoli.
Siamo arrivati al dunque, la rete così non regge più, tutto questo richiede un immediato ripensamento dell’attuale modello di crescita incentrato sul “consumo” per porre le basi di una nuova società equa e solidale verso l’ecosistema terrestre e verso l’intera popolazione umana.
Tutto questo dovrebbe spingerci verso un modello di sviluppo improntato su comportamenti più etici e più consapevoli ed invece assistiamo ad una insostenibile e colpevole indifferenza.
Il mito della società dei consumi prolifera e contagia altri contesti antropici (pensiamo al sud del mondo, alle aree in via di sviluppo) ed in questa forsennata corsa al “Consumo” facciamo terra bruciata della possibilità di qualità della vita delle future generazioni oltre ad alimentare forti tensioni sociali dovute all’iniquità del consumo delle risorse che oggi è appannaggio del 30% dell’intera popolazione mondiale.
Per evitare tutto questo è necessario cercare di transitare velocemente verso una società indirizzata verso uno sviluppo ambientale, economico e sociale legato ai principi della sostenibilità.
E quindi di un utilizzo e di una ridistribuzione delle risorse ottenuta attraverso una consapevolezza che ridefinisca il concetto stesso di qualità della vita e modifichi il nostro modo di agire ed i nostri stili di vita.
La nostra percezione di benessere è oggi legata alla possibilità di consumo, di possesso delle cose, senza riflettere sul fatto che quello che noi oggi consumiamo domani o non c’è più o diventa rifiuto.
Sempre nuovi miti, mode tendenze impediscono la pausa e la riflessione e questo crea il vuoto culturale che non consente la scelta e lo sviluppo di nuovi modelli.
Nuovi modelli che devono necessariamente basarsi su un processo di pianficazione sostenibile che sono il partire ed il condividere una logica di sistema, in cui gli elementi fondanti del progetto sono la cultura del rispetto del territorio, delle sue risorse, del valore delle relazioni sociali, della sua storia e dell’essere punto singolare interagente con l’universale.
Lo slogan “pensare globalmente agire localmente” deve diventare l’assunto culturale dal quale partire perché ogni decisione locale oggi molto velocemente va ad impattare sull’intero sistema.
E dove il pensare globalmente non può significare per l’architettura diventare segno architettonico che ripropone se stesso ovunque , in modo autoreferenziale, indipendentemente dal sito. L’architettura ha bisogno di riappropriarsi del suo significato più profondo di elemento che esprime e media il rapporto tra uomo e natura, uomo e ambiente, e quindi punto di equilibrio tra le esigenze dell’uomo e ritmo lento dell’ecosistema, interprete della specificità del luogo.Ed elemento che esprime e facilita la relazione tra gli uomini e quindi di questa esigenza propria dell’uomo e del bisogno di qualità deve farsi interprete.
Oggi la pianificazione ha il compito di individuare nuove strategie, capire quale è la rete che rende possibile abitare il nostro pianeta , scelte che sono politiche nel senso di visione sociale e di sistema e attuabii sul territorio.
Non è possibile oggi, elemento di attualità, discutere se distruggere 12 ettari di terreno in Abruzzo tra il mare e il parco della Maiella, terreno in cui si producono vini DOC, per creare un centro di prima raffinazione del petrolio estratto da piattaforme in mare ed altre in allestimento in Abruzzo.
Significa andare a compromettere fortemente un modello di sviluppo sostenibile , economie locali che dalla produzione agricola e da un turismo di qualità basato sulla cura e cultura del territorio inteso in senso ampio stanno traendo profitto.
Significa ancora una volta fare delle azioni per tenere in vita un modello di crescita e consumo, basato sul petrolio, che dobbiamo abbandonare.
Il 2015 è a dire della quasi unanimità degli scienziati l’anno di svolta, l’anno in cui se non abbiamo modificato il nostro sistema arriveremo ad un riscaldamento globale di 2 gradi centigradi, stimato come il punto di non ritorno, in cui si innescano meccanismi a catena difficilmente controllabili.
Allora è adesso il momento di trovare la nostra nuova rete per abitare adesso e in futuro il nostro pianeta.E allora tutti possiamo, dobbiamo fare qualcosa a partire dal nostro ruolo: politici, tecnici e cittadini.
Le linee d’azione sono in qualche modo chiare perché chiaro è il quadro di riferimento, ridurre le nostre emissioni di CO2:abbiamo da rivoluzionare il modo di produrre energia utilizzando fonti alternative cosiddette pulite , il settore dei trasporti, il settore edile nel suo quadro d’insieme, dal progetto all’utilizzo, i nostri stili di vita per ridurre e modificare i consumi.
Certo è difficile pensare come il nostro attuale sistema altamente energivoro possa essere alimentato dalle energie alternative, è allora chiaro come sia necessaria una rivoluzione del quotidiano supportato da politiche di pianificazione che inducano e supportino questo processo.
E’ difficile dire non utilizziamo l’automobile in città e periferie che si sono trasformate o sono basate sull’utilizzo dell’automobile.
E’ difficile dire riduciamo l’utilizzo del riscaldamento o del raffrescamento quando le nostre case sono delle scatole di cemento che amplificano gli agenti climatici esterni. invece che proteggere da questi.
E’ difficile ridurre la quantità di rifiuti soprattutto di origine petrolchimica e legno quando le nostre filiere si sono allungate a dismisura e tutto ciò che compriamo è super imballato, e quando la cultura dell’usa e getta ha preso il sopravvento.
Il mondo dell’informazione –formazione ha fatto in questi ultimi anni e sta facendo un grosso lavoro , i cittadini per lo più sanno come possono risparmiare in casa, sanno che è bene e vantaggioso per tutti fare la raccolta differenziata i tecnici stanno reimparando a progettare , per arrivare a realizzare edifici che consumano meno ed emettono meno CO2…….
E allora perché questa inerzia questa lentezza verso il cambiamento?
Forse perché non abbiamo ancora la percezione che il comportamento singolo è fondamentale e la sua ricaduta sul sistema , se sommato a quello degli altri è immenso.
Cambiare costa fatica, è oggi una rinuncia a ciò che percepiamo come comodo, oltre a rappresentare in molti casi un investimento iniziale. Abbiamo bisogno di nuove norme, abbiamo bisogno di essere governati nell’interesse pubblico perché è necessario che sia condiviso e definito in modo univoco e chiaro cosa è possibile fare, con regole che incentivano e semplificano la strada alle situazioni virtuose, e qui la parentesi sul settore edilizio potrebbe essere molto ampia, abbiamo bisogno strutture e atteggiamenti che a partire dalla cura del territorio e dell’uomo individuano nuovi processi economici e sociali.
Abbiamo bisogno di nuove alleanze tra chi gestisce chi investe chi produce chi progetta chi vive il territorio, tutti con lo stesso obbiettivo consapevole, perché tutto ciò che oggi non contraddistinguiamo con l’appellativo bio non può più essere una scelta tra ciò che è consolidato dalla prassi direi industriale del fare e un modo nuovo di fare e pensare: deve diventare il modo di progettare, realizzare, produrre…. In un continuo nuovo equilibrio tra locale e globale, sedimentazione storica e innovazione, interesse particolare e pubblico.